La crisi del calcio europeo: arabi che sparigliano il gioco con offerte folli e il mercato che va a rotoli #CalcioInCrisi #ArabMoneyInvasion #PerditeEuropee
Il calcio europeo sta affrontando una grave crisi, con influenze esterne che stanno alterando il mercato in modo aggressivo e discutibile. Le offerte provenienti da investitori arabi stanno invadendo il settore, rendendo impossibile competere per i club tradizionali. Come evidenziato, “Gli arabi stanno sparigliando, invadendo in maniera immorale il mercato dei calciatori e non c’è difesa di fronte a queste offerte che sono oltre ogni umana comprensione. Un giocatore normale a cui si danno 20, 40mln di euro, significa che il calcio è alla deriva.”
I dati economici dipingono un quadro preoccupante: il calcio europeo non cresce e accumula perdite significative, con la Premier League che sta attuando una spending review, la Spagna che impone controlli sui salari impedendo al Barça di iscrivere giocatori senza nuove operazioni, e la Francia in una situazione ancora peggiore. Si obietta che se non offrono questi soldi non vanno lì a giocare, ma non c’è modo di difendersi, poi se si valutano i dati capiamo che il calcio europeo non sta bene, non cresce, anzi produce perdite, persino la Premier sta facendo una spending review. In Spagna c’è un sistema di controllo dei salari ed il Barça non può iscrivere dei calciatori fino a nuove operazioni e la Francia è quella che sta peggio di tutti con DAZN che ha detto che gli abbonati sono pochi e si sono lasciati ed ora hanno lanciato di ADL, inascoltata, di uno che vive di diritti e distribuzione, ovvero di lanciare un canale della Lega.”
In Italia, la situazione è altrettanto critica, con perdite cumulative di 5 miliardi dal 2018 al 2023, aggravate dall’impatto del Covid. Alcuni club appaiono come “isole felici”, ma il rischio è concreto. “In Italia c’è il rischio si debba fare per forza, è un rischio concreto perché il calcio italiano dal 2018 al 2023 col Covid incluso ha perso 5 miliardi. Il Napoli a maggior ragione è un’isola felice. Se guardiamo la somma degli ammortamenti più dei salari, il valore medio del 2022-23 è del 70% superiore ai ricavi aziendali e quindi capiamo che tutti i soldi riversati dai diritti tv ed il resto nelle casse societarie vanno al 70% a giocatori e agenti, uno scenario sempre più complicato se si guarda alla B o alla C in default totale.” Questa dinamica porta a una politica di vendite che offre un respiro temporaneo ma impoverisce il campionato, con i migliori talenti che emigrano in cambio di ritorni di giocatori in declino.
Il flusso di talenti in uscita sta lasciando il calcio italiano svuotato, con potenziali partenze che minano la competitività. “Vendere agli arabi è una politica di basso respiro, oggi ti porta denaro e respiro, ma il campionato si sta impoverendo, i migliori se ne vanno, anche Kvara, Retegui, forse Kean, Reijnders, Theo, forse pure Vlahovic, a fronte di ritorni di fiamma o di elementi a fine carriera come Dzeko, Modric, Immobile, a parte il fenomeno De Bruyne che ne ha 34 e può dare tanto, il resto è poca roba. L’unico importante forse è David e con meno appeal… e DAZN può dire dovremo ridurre il contratto perché non pareggia e non vale la pena e deve decurtare la cifra nel prossimo accordo.” Nessuno sembra accorgersi della direzione disastrosa, con l’Europa che non vince una Champions dal 2010, una sola Europa League e una Conference, e la nazionale che arranca dal trionfo di Berlino.
Per invertire la rotta, è necessario un cambio di approccio radicale, focalizzandosi su risorse interne. “Nessuno si rende conto di dove sta andando il calcio italiano. In Europa dal 2010 non si vince la Champions, un’unica EL con l’Atalanta, una sola Conference pur arrivandoci vicini, non siamo competitivi e non parliamo della nazionale 19 anni dopo la vittoria di Berlino. L’unica cosa che si può fare è ragionare con il risparmio che è guadagno: perché non si torna ad un’autarchia? Perché non la smettiamo di rincorrere calciatori con stipendi alti anziché produrli in casa? Il vivaio italiano fino all’under 20 è competitivo, si perde dopo senza sbocchi per i calciatori, le scuole calcio sono tantissime, solo Napoli e provincia ne ha più di 200 e ognuna con minimo 100-200 affiliati, pensate in quanti giocano e non ne esce uno d’altissimo livello. Perché non si fa una politica in tal senso come si fece dopo Inghilterra 66 con Artemio Franchi che chiuse le frontiere? Oggi non si può fare, ma qualcosa si può fare per crescere ragazzi in casa”. Questa riflessione solleva interrogativi su come il calcio possa rigenerarsi senza affidarsi a un sistema che sta collassando.