Acerbi contro Spalletti: Quando il silenzio fa più male delle parole #CalcioDuro #NazionaleSenzaFiltri #AcerbiStoria
In un estratto della sua autobiografia, Francesco Acerbi non le manda a dire sul rapporto teso con il CT, descrivendo come la mancanza di stima possa rendere tutto più pesante. Il difensore dell’Inter ripercorre gli eventi a partire dal 18 marzo 2024, legati alle accuse di frasi razziste verso Juan Jesus, che Acerbi ha sempre negato.
Il caso, per quanto archiviato, ha lasciato strascichi. “Io ero tranquillo, convinto che la questione si fosse risolta lì. Poi, a sorpresa, arrivò una telefonata di Spalletti, che mi disse: «Vieni qui, chiedi scusa ai tuoi compagni e poi torni a casa». Nessuna spiegazione, nessuna possibilità di confronto vero. Solo quella frase secca. Io, con rispetto, feci quello che mi era stato chiesto: parlai ai compagni e poi tornai in stazione”. Acerbi ricorda le telecamere e i giornalisti: “Tutti a parlare della mia esclusione, del presunto caso, delle accuse di razzismo. Ma nessuno che volesse davvero ascoltarmi. Nessuno che mi avesse chiesto cosa fosse successo davvero. E, soprattutto nessuno che mi avesse dato la possibilità di raccontare la mia verità. Nessuno”.
Quello che brucia di più per Acerbi è l’atteggiamento del CT: “E la cosa più dura da accettare è che, in quella situazione, chi avrebbe dovuto difendermi aveva scelto di abbandonarmi. Il CT non aveva aspettato la verità dei fatti, aveva semplicemente preso una decisione lasciandomi solo in mezzo alla bufera. Pochi giorni dopo, il 26 marzo 2024, la giustizia mi assolse dalle accuse: non c’erano stati insulti razzisti, non c’era stato alcun illecito. Ma ormai il danno era fatto. E non parlo solo dell’esclusione dalla Nazionale. Parlo del modo. Del silenzio. Della freddezza e della mancanza di rispetto che ti fanno sentire piccolo, invisibile, inutile. Mi aspettavo un altro atteggiamento. Mi aspettavo che il CT mi tenesse nel gruppo fino a un’eventuale sentenza di condanna. Invece niente. Un giudizio inappellabile e via”.
Per il centrale dell’Inter, il vero problema non era tanto l’esclusione, quanto il trattamento ricevuto: “la mancanza di rispetto. Era il fatto di non essere stato difeso dal mio allenatore, da chi doveva dare un senso all’idea di squadra. Qualche tempo dopo, in una conferenza stampa, Spalletti parlò di me ironizzando sull’età, come se fossi un giocatore ormai bollito. Non mi sentii offeso. Anzi, quella frase mi strappò un sorriso, perché in fondo è vero: non sono più un ragazzino Le parole usate quella volta mi fecero capire che l’attenzione e il rispetto per me non c’erano più. In pochi lo sanno, ma durante le partite di qualificazione per l’Europeo 2024, io giocavo con un dolore continuo, costante, che si faceva sentire a ogni passo, a ogni contrasto”.
Alla fine, quando arrivò la chiamata di Spalletti nel maggio 2025 senza alcun chiarimento, Acerbi declinò: “Allora ho capito che quello, in una situazione del genere e con quel commissario tecnico, non era più il mio posto. Non volevo vivere un’esperienza così importante solo per tappare un buco. Non volevo essere un cerotto messo di fretta, senza rispetto per la storia. Meritavo di più. Meritavo rispetto”. Non ha rimpianti per quella decisione: “Rifarei quella scelta. Con la stessa fatica, con lo stesso silenzio, con la stessa sincerità. Perché è stata una scelta d’amore: per la maglia, per me, per il gioco stesso. Meglio fermarsi quando senti che è giusto, piuttosto che andare avanti per inerzia o per paura di deludere qualcuno. Meglio dire basta con dignità che restare per abitudine”. Una storia che sottolinea come, nel calcio, il rispetto non sia solo una parola, ma un peso che può fare la differenza.
- 26 Settembre 2025 - 21:54
- 26 Settembre 2025 - 21:43
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