Bonavita racconta il suo passaggio al Napoli: lezioni di vita tra campo e panchina
Simone Bonavita, giovane promessa classe 2004, ha aperto il cuore in un’intervista a Gianlucadimarzio.com, parlando del suo breve ma intenso periodo al Napoli. Come tifosi, sappiamo bene quanto sia dura vedere talenti affondare in un mare di riserve, e le sue parole ci ricordano che non tutti brillano sotto il Vesuvio. “Sono stato felice di aiutare quella squadra anche con un semplice allenamento. Ogni tanto sento ancora Di Lorenzo e ho sempre il piacere di ricevere una sua risposta. Mi hanno colpito l’umiltà e la qualità di Raspadori, con cui spesso mi fermavo per i palleggi, e la capacità di Zielinski di nascondere il pallone. A Napoli penso di non essere cresciuto tanto come giocatore quanto come uomo. Vivere mesi senza una partita da titolare non è stato facile mentalmente. Ero arrivato a un momento in cui facevo fatica a rapportarmi con le persone, volevo solo rimanere a casa a dormire. Non nascondo che mi sono fatto aiutare da una persona che fa questo di mestiere, e sono riuscito a cambiare la mia mentalità”.
Queste righe ci fanno riflettere: certo, l’umiltà di Raspadori e la maestria di Zielinski sono gemme del nostro Napoli, ma è amaro sentirlo dire che il capoluogo partenopeo l’ha forgiato più come uomo che come calciatore.
Forse il problema è quel dannato turnover di Gattuso o Spalletti, che troppo spesso lascia i giovani a marcire in panchina, proprio come accadeva ai tempi di Higuain o Insigne.
Passando al suo passato all’Inter, Bonavita dipinge un ritratto idilliaco, quasi irritante per noi napoletani. “Una scuola di vita, ancor prima che calcistica. Se sono quello di oggi è anche merito dell’Inter. Ci sono arrivato dopo i primi passi alla Cosov di Villasanta (in Brianza, ndr), dove hanno cominciato anche Pirola e Zappa. In Under 19 sono stato allenato da Chivu, è stato proprio lui a spingere perché io non andassi via. Chivu? Ha una storia che non è per niente facile e con noi calciatori si apriva spesso proprio per trasmetterci qualcosa. È un bravo allenatore ma è ancora più forte come motivatore: ti fa amare il calcio e ti fa capire come questo sport possa anche salvare delle vite. (…) Ricordo quando raccontava di sé davanti a tutti, sono momenti difficili da dimenticare”.
Oh, per favore, un altro santone nerazzurro che “salva vite”? Sembra la solita propaganda milanista, mentre da noi a Napoli si suda e si combatte per ogni pallone.
Cari appassionati, Bonavita ci ricorda che il calcio è vita, ma se il Napoli non valorizza i suoi giovani, rischiamo di perderli come polpi in fuga dal golfo. Dite la vostra: è colpa nostra o del sistema?