D’Ambrosio dice addio al calcio e si tuffa negli affari, lasciando i campi per il business e le radici napoletane #ExInter #AddioAlCalcio #CaivanoRinasce
Danilo D’Ambrosio, l’ex difensore dell’Inter che ha finalmente appeso gli scarpini al chiodo, si è sbottonato in un’intervista, rivelando piani che odorano più di quattrini che di sudore sul campo. Non è che il calcio gli abbia rotto le scatole, ma insomma, chi se ne frega del pallone quando ci sono affari succulenti in ballo? L’ex giocatore ha chiarito i suoi nuovi obiettivi, spaziando dal mondo del business al settore del food, senza dimenticare i suoi investimenti in startup. E poi, c’è quel sogno nel cassetto che lo fa sembrare un po’ il filantropo del quartiere.
“Ho tanti altri obiettivi da raggiungere. Di sicuro voglio fare qualcosa nel mondo del business. Mi è sempre piaciuto il settore del food e ho anche una holding che si occupa di investimenti in startup. E poi ho un sogno nel cassetto”.
Apriamo quel cassetto, e dentro c’è una verve paternalistica che non si vede tutti i giorni nel mondo del calcio. D’Ambrosio, ormai radicato a Milano, ha espresso il desiderio di lavorare con i giovani, magari per trasformarli prima in uomini decenti e poi, se va bene, in calciatori. Si vanta di aver avuto un mentore che gli ha insegnato a vivere, e ora vuole ripagare il favore. Niente male per uno che ha passato la vita a correre dietro a un pallone.
“Mi piacerebbe lavorare con i giovani. Per il vissuto che ho avuto, sono padre di due bambini di 6-8 anni, vedo le loro difficoltà nel percorso di crescita. Mi piacerebbe crescere prima uomini e poi calciatori. Io ho avuto la fortuna di conoscere Carmine Tascone che in quegli anni alla Damiano Promotion ci insegnava innanzitutto a vivere. È stato un visionario perché nella sua squadra riuniva quelli che secondo lui erano i migliori della Campania e dava loro la possibilità di farsi vedere da squadre professioniste”.
Ma non dimentichiamoci delle sue radici: Caivano, quel posto che per lui è sinonimo di terra e sudore, lontano dalle luci della ribalta milanese. D’Ambrosio non nasconde il suo legame con la sua terra natia, descrivendola come un mix di nostalgia e realtà cruda. Certo, non è che Caivano sia stata una pacchia negli ultimi anni, ma lui la vede migliorare, con gente che si rimbocca le maniche invece di piangersi addosso.
“Caivano per me è radici. Vuol dire quelle partite sul campo di terra con le porte in legno, quei pomeriggi a giocare fino al tramonto, le corse in bici, le giornate intere giocate a nascondino. Io l’ho vissuta fino a 13 anni. Certo, ora rappresento la Caivano che ce l’ha fatta, ma so di aver fatto il meglio seguendo i miei valori e sento l’apprezzamento da parte della gente di Caivano e di Napoli in generale. Ultimamente Caivano non ha avuto momenti di gloria, ma negli ultimi 2-3 anni l’ho vista migliorata, l’ho vista diversa con quella voglia di rivalsa: c’è tanta brava gente che ha voglia di lavorare, mandare i figli a scuola e farli crescere in un determinato modo”.
E quest’estate, D’Ambrosio è tornato sul campo, portando i suoi figli a giocare nel campetto comunale, come se volesse infondere un po’ di quella vecchia scuola nei marmocchi di oggi. Chiamatelo revival o semplice nostalgia, ma è chiaro che per lui, quelle esperienze valgono più di qualsiasi trofeo. In fondo, in un mondo di divi del calcio tutti pose e contratti, un tipo come lui che predica valori e radici suona quasi sovversivo – o almeno, un tantino fuori moda.