giovedì, Luglio 3, 2025

Lukaku rivela: “Ecco quando ho capito che potevamo vincere lo Scudetto. Tutti importanti, ma c’è un fenomeno”

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Lukaku si sfoga: dal dramma familiare alla gloria con il Napoli, un gigante che non piange per niente

Lukaku, il colosso del Napoli, ha aperto il cuore in un podcast, raccontando i suoi inizi duri come una partita sotto la pioggia torrenziale. Cresciuto all’Anderlecht nel 2008, il belga ha affrontato tragedie che avrebbero fatto crollare chiunque, ma lui è sempre stato quel tipo tosto che non si lamenta troppo.

A soli 10 anni, Big Rom si è trasferito al Lierse con un sogno: guadagnare per portare il nonno in Belgio. Purtroppo, il nonno è morto di cancro nel 2005, un colpo basso che Lukaku non ha mai dimenticato. "Soprattutto perché l’Anderlecht ha fatto tutto il possibile per aiutare la mia famiglia due anni dopo. Poi penso a quel momento. Se fosse riuscito a resistere altri due anni o se avessi potuto portarlo in Belgio in quel momento, forse sarebbe ancora qui oggi. Avevo 12 anni all’epoca, e dicevano che ero ancora un bambino. Ma lui era il mio eroe, più di mio padre in un certo senso. È morto perché non avevamo i soldi per portarlo in Belgio." Quel dolore, però, ha acceso una furia dentro di lui, trasformandolo in una bestia sul campo. "È stato un pessimo momento. Ma ha scatenato la bestia che è in me. All’inizio riuscivo ancora a sopportare bene la sua morte, ma dopo la nascita del mio primo figlio sono diventato più emotivo. È stato allora che ho capito quanto mi avesse colpito. Allora non ho dovuto pensare a cosa avremmo mangiato il giorno dopo, ma a se avremmo potuto fare qualcosa. Non ho salvato la vita di mio nonno perché non potevo. Non avevamo i soldi. Ogni volta che vinciamo, quando vinco un trofeo, piango sempre. Ma non piango di gioia, piango di dolore perché lui non c’è."

Un’altra occasione persa lo ha segnato: quando lo Standard si interessò a lui, ma era troppo giovane per un contratto. Alla fine, è finito all’Anderlecht, che gli ha cambiato la vita. "L’Anderlecht mi ha salvato la vita. Non si tratta solo di amore per il club. Se la gente parla male di Herman Van Holsbeeck o Jean Kindermans, non potrei mai farlo. Li sono stati aiutati, mentre l’Anderlecht non ha dovuto fare tutto questo. Normalmente, sarei andato al Chelsea a 14 anni per diventare l’attaccante, ma non ci sono andato perché l’Anderlecht ha fatto quello che ha fatto." Ora, Lukaku pensa di ricambiare, magari lavorando nel settore giovanile. "So cosa bisogna fare per arrivarci. Se riesco a far sì che 20 o 25 giovani giocatori possano emergere all’Anderlecht, sarò felice perché so di averli aiutati."

Passando al Napoli, Lukaku non ha risparmiato dettagli sui successi con Antonio Conte e lo scudetto. "Quando Conte mi ha chiamato per il Napoli, mi sono detto ‘Ok, vinceremo di nuovo’. Non gliel’ho detto perché mi avrebbe preso per pazzo, ma ricordo che anche all’Inter gli dissi lo stesso. Abbiamo vinto perché abbiamo guardato sempre tutti nella stessa direzione. A Bergamo, dopo la vittoria con l’Atalanta, abbiamo capito che potevamo farcela. Juventus, Atalanta e Fiorentina sono le vittorie che ci hanno resi grandi. Il pari con l’Inter ci stava stretto: avremmo meritato di vincere. Ma ci fece capire che eravamo alla pari. Conte rientrò negli spogliatoi e ci disse ‘Ragazzi, crediamoci’. Tutti sono stati importanti. McTominay, Anguissa, Lobotka, Politano correva per due, Neres…per me David è il vero fenomeno della squadra. Ti punta e ti lascia sempre sul posto. Conte si è adattato a noi e noi a lui. Ha studiato molto e sul campo si è visto. Potevamo cominciare in un modo la partita e poi finire diversamente perché eravamo preparati. Sapevamo cosa fare, dove essere." La festa per il titolo? Un delirio puro. "Vincere a Napoli…wow! Una festa lunga quattro giorni. Ho visto fuochi d’artificio ovunque, famiglie con bambini che si abbracciavano, dopo la vittoria con il Cagliari abbiamo finito di festeggiare alle 4 del mattino ma sono rientrato a casa carico di adrenalina. Ero con mio fratello, ho chiamato mia madre. Non riuscivo a dormire. Il giorno dopo ci siamo rivisti con la squadra e abbiamo festeggiato ancora. E così per quattro giorni. Non avevo festeggiato così nemmeno da giovane. L’inizio non era stato facile, c’erano tanti dubbi su di me per il costo e l’età, mi è sembrato di tornare ai primi anni della carriera."

Per il futuro, con la Champions in vista, Lukaku è realista ma fiducioso. "Champions? La squadra più forte è il Psg, ma nel calcio oggi se costruisci bene la tua squadra e hai idee puoi giocartela con chiunque. Tutti pensavano che il Barcellona avrebbe battuto l’Inter, invece…la gente dovrebbe guardare al calcio italiano con maggiore rispetto. Solo negli ultimi anni l’Inter ha giocato tre finali tra Champions e Europa League, la Fiorentina due, la Roma ha vinto una coppa e ne ha persa un’altra, anche l’Atalanta ha vinto." Infine, sul calcio in sé, Lukaku è schietto: "Il calcio per me è un lavoro. Non mi piace molto parlare, ma andare in campo a fare le cose. Giochiamo per 15 o 20 anni massimo, poi non resterò in questo mondo. Non mi rivedrete più. Non tutti i calciatori hanno la mentalità di Cristiano Ronaldo o Kobe Bryant durante l’anno. Io sono arrivato dove sono per la mia mentalità. Ho sempre dato tutto per la mia passione, ho fatto tante rinunce. Essere diventato uno dei top negli assist in Serie A, con calciatori come Calhanoglu, Leao, mi ha fatto capire di poter migliorare ancora, di potermi trasformare come calciatore. Non solo uno che fa gol. Ti dici ‘Ok, magari oggi non segni ma puoi far segnare’. Ma resto un attaccante che vuole fare gol. Sono stato veramente me stesso negli ultimi 2-3 mesi dell’anno. Essere arrivato in ritardo in estate non mi ha aiutato. Ho dovuto lavorare un po’ alla volta."

In sintesi, Lukaku resta un guerriero del pallone, un tipo che ha trasformato il dolore in gol e trofei, dimostrando che nel calcio, come nella vita, non c’è spazio per i deboli. Una storia che fa riflettere, in un mondo dove tutti parlano ma pochi agiscono davvero.

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