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Mancini paragona Istanbul a Napoli: “Stessi ritmi caotici e passione”

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;ex ct italiano spiffera sul suo DNA da allenatore e le sue aspre battaglie con giornalisti e arbitri, tra vittorie epiche e scelte discutibili. #FestivalSport #CalcioVeritiero

Roberto Mancini, l’ex timoniere di Inter, Lazio e Nazionale italiana, è tornato a dire la sua dal palco del Teatro Sociale di Trento durante il Festival dello Sport. Con il suo solito stile diretto, ha toccato vari aspetti della sua carriera, dalle influenze che l’hanno plasmato ai rapporti tesi con il mondo esterno.

Chiamato in causa sul suo “DNA da allenatore influenzato più da Boskov o Eriksson? ‘DA tutti, anche da Sacchi, con cui sono stato poco tempo. Stare con allenatori così ti aiuta se vuoi fare l’allenatore. Per me è stata una cosa molto positiva’”, Mancini non ha risparmiato un tocco di vanteria, ammettendo come queste figure lo abbiano forgiato senza troppi fronzoli. Non esattamente un tipo modesto, eh?

Sul fronte personale, il suo rapporto con gli arbitri è stato dipinto come idilliaco: “‘Buono, sono stato espulso pochissimo. Si parlò molto di alcune frasi che avevo detto, ma era una stupidaggine da ragazzino'”. Ma poi ha sparato a zero sui giornalisti, dichiarando senza peli sulla lingua: “‘Meglio con gli arbitri che con i giornalisti'”. Insomma, un chiaro avvertimento a noi scribacchini, come se fossimo sempre noi il problema.

Non pago, ha ammesso che non è tutta colpa nostra: “‘No, ma poi quando si è giovani si pensa di meno e si va con l’istinto'”. Un velo di autocritica? Forse, ma sa di scusa stiracchiata da un veterano che ha visto di tutto.

Parlando delle scelte difficili in carriera, Mancini ha sminuito l’impatto di certi colleghi: “‘Giannini no, era mio compagno di camera e di tressette. In quegli anni in Nazionale c’erano fior fior di campioni. Per un allenatore non era semplice scegliere due attaccanti su 5′”. E su un consiglio di Ulivieri per diventare prima punta, ha ribattuto: “‘Poi lo sono diventato. Lo disse quando arrivai dal Bologna alla Samp, avevo 17 anni. Ero troppo giovane al tempo, non era così semplice, ma con il tempo lo sono diventato'”. Un modo per dire che, alla fine, ha sempre avuto ragione lui.

Tornando all’Inter, ha raccontato aneddoti sul suo arrivo e su Moratti: “‘Sull’autostrada Genova-Milano in un ristorante a Tortona. Perché era a metà strada fra Genova e Milano (ride)’. E sul Triplete, non ha esitato a dare meriti al club: “‘Innanzitutto il merito per la maggior parte penso sia di Moratti, quello che investiva. Se un allenatore ha i giocatori bravi, vince. Io ho avuto la fortuna di averne di molto bravi'”. Un’ammissione che suona un po’ come un affondo ai colleghi meno fortunati con i portafogli dei presidenti.

Sul mercato, Mancini si è difeso con ironia: “‘Ci sono altri più bravi. Ma all’Inter abbiamo preso giocatori molto bravi, tornando a vincere dopo molti anni'”. Poi, sulla sua uscita dopo la sconfitta col Liverpool: “‘No, secondo me si poteva tornare indietro. Venivamo da solo vittorie, fu la prima sconfitta. C’erano altre motivazioni che potevo tenere senza esternarle così'”, e “‘Non ricordo bene. C’era qualcosa che riguardava qualche giocatore che aveva problemi fisici che si portava da molto tempo e pensavamo di recuperarlo quelle partite e non ci riuscimmo. Non c’erano altri problemi'”. Un’uscita che lascia intendere più di quanto dica, con un velo di mistero che non guasta.

Le sue avventure all’estero meritano un capitolo a parte. Dal Leicester: “‘Ero lì, stavo facendo il patentino, ero assistente di Eriksson alla Lazio. Lui trovò l’accordo per il giugno successivo come ct dell’Inghilterra. C’è stato un momento in cui una Lazio fortissima non andava bene ed Eriksson fu esonerato. Pensavo che Cragnotti mi potesse dare la squadra, ma chiamò Zoff, giustamente perché era più esperto. Mi chiamò il Leicester e allora decisi di andare a giocare 5 partite con il Leicester bloccando il patentino. Poi mi chiamò la Fiorentina. Problemi di patentino non ne avevo, ma non si poteva avere il doppio tesseramento'”, fino alle polemiche: “‘Sì. Riuscii ad allenare la Fiorentina perché sul regolamento era proprio scritto che l’allenatore in seconda è come se non esistesse'”. Un escamotage che fa storcere il naso, ma hey, chi l’ha detto che il calcio è sempre equo?

Al Manchester City, le rimonte epiche non mancano: “‘Quella con la Samp era una di quelle partite dove la palla non voleva entrare. Eravamo sotto 0-2 dopo penso 20 palle gol. Quella con il City fu una cosa diverse, una lotta pazzesca con lo United. Quella di Manchester, stavo quasi per morire (ride). Non era possibile dopo aver dominato la stagione, aver recuperato molti punti allo United. E trovarsi in quella situazione era assurdo contro una squadra che lottava per non retrocedere'”. Un tocco di dramma che rende il tutto più spassoso.

Infine, sulle esperienze in Russia e Turchia: “‘Tutte le esperienze ti aiutano. Quella in Russia non è stata semplice. Una esperienza importante a livello personale. Sicuramente qualcosa ha cambiato'”, e “‘Posto meraviglioso, Istanbul sembra di essere a Napoli, la gente è fantastica, andavi a giocare in Norvegia e trovavi 20mila turchi. Allenare quelle squadre lì come il Galatasaray, con milioni di tifosi. Tutti attaccatissimi alla squadra’”. Mancini chiude con un’occhiata nostalgica, confermando che il calcio è un misto di trionfi e tribolazioni, con un pizzico di sana irriverenza per chi lo critica. Un’intervista che lascia il segno, proprio come le sue gestioni in panchina.

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