Zdenek Zeman ha parlato della sua carriera nel corso di una intervista al Corriere della Sera in occasione dell’uscita della sua autobiografia ‘La bellezza non ha prezzo’.
Zeman si racconta: “Odiavo i comunisti…”
“Odiavo i comunisti. Come li odiava mio padre, medico – ha raccontato -. Ci costringevano a festeggiare il compleanno di Stalin e di Lenin, ma io non ho mai portato un fazzoletto rosso. In compenso avevo una mazza da hockey e quattro palloni, anche se ogni tanto gli zingari me ne rubavano uno. Facevamo il catechismo di nascosto. Eravamo una famiglia molto cattolica”.
“Quando morì il mio Papa, Giovanni Paolo II, mi misi in fila a San Pietro per andare a salutarlo. Volevano farmi passare avanti; rifiutai. La notte in coda fu bellissima”, ricorda. “Ho visto tutto. Ho fatto tanti ritiri in hotel a 5 stelle e altrettanti in alberghi Miramare dove la padrona era anche la cuoca. Sono stato assunto da presidenti in doppiopetto e da poveri diavoli di periferia con cravatte improbabili. Ho allenato campioni che guadagnavano miliardi e giovani a cui dovevo prestare i soldi per la benzina…”, racconta il boemo.
Roma è ormai la sua città d’adozione. “Vivo qui da 25 anni, ho allenato entrambe le squadre, e sia i laziali sia i romanisti mi vogliono ancora bene”, dichiara Zeman. “È una splendida città antica, e una metropoli moderna piena di problemi che nessuno affronta. Perché? Perché gli italiani rimandano sempre tutto a domani”, dice l’ex tecnico di Roma e Lazio. Quindi un aneddoto di quando era piccolo.
Zeman e la fede calcistica: “Sono sempre stato juventino”
“Sono sempre stato juventino. Da piccolo andavo a dormire con la maglia bianconera”, racconta. Proprio quella Juve con cui è entrato spesso in polemiche durissime. “Con la Juve di Moggi, Giraudo e Bettega. Ma la Juventus non comincia e non finisce con loro. Era la squadra di mio zio Cestmir Vycpálek – rivela – il più grande talento del calcio cecoslovacco prima di Pavel Nedved, che portai in Italia. La differenza è che Nedved, lavoratore maniacale, voleva allenarsi pure il giorno di Natale; mio zio invece amava le gioie della vita. Era stato a Dachau, e il lager l’aveva segnato. Ma mi dicono fosse birichino anche prima”.