Gigi Buffon: Dal Campo alle Confessioni, un Campione Senza Filtri #Buffon #CalcioItaliano #Leggende
Gigi Buffon, il leggendario portiere campione del mondo, ha incantato il pubblico a Frabosa Sottana ricevendo la Castagna d’Oro, dove ha aperto il cuore sulla sua carriera con un misto di riflessioni sincere e aneddoti che non risparmiano critiche autoimposte. Senza peli sulla lingua, l’ex numero uno della Nazionale ha ripercorso errori e successi, mostrando quel carattere ruvido che lo ha reso un’icona.
Nel suo discorso, Buffon ha ammesso di aver usato indulgenza verso se stesso da giovane. “Sono stato molto indulgente fino ai 20-21 anni, perché fino a quell’età mi sentivo in diritto di commettere e imparare dai miei errori – ha esordito il campione del mondo di Germania 2006 -. Era una sorta di bonus, che tuttora ritengo giusto essermi concesso, in quanto raggiungere la fama in gioventù non significava assumere automaticamente la postura di un uomo adulto. Nella vita ho sempre cercato di guardarmi allo specchio e di non abbassare mai lo sguardo: ho commesso errori, ma in buona fede, in maniera autentica. Sono sempre stato autentico. Mi sono anche vergognato degli sbagli fatti, però li ho sempre pagati in prima persona. Questa è la forma migliore di apprendimento. Questo è l’unico modo per diventare un uomo migliore”. Non c’è spazio per ipocrisie nel suo racconto, solo fatti crudi che mettono in luce come i grandi a volte barcollano prima di brillare.
Passando alla vita privata, Buffon non ha risparmiato dettagli piccanti sulla sua compagna. “Mi è sempre piaciuto cavalcare la mia vita, la mia onda. Ogni tanto eccedere, ogni tanto stare in disparte. Del resto, quando ti esponi tanto rischi di cadere, perché a certe latitudini il vento soffia forte. Oggi sono molto più sereno e felice rispetto a quand’ero ragazzo. Ilaria è la componente fondamentale del mio equilibrio, della mia felicità – ha affermato Buffon -. Inoltre, diventare padre e non rappresentare solo se stessi comporta un sapersi moderare negli eccessi. La mia vera indole è quella del ragazzo che entra in campo. Lo era anche quando avevo 45 anni, perché mi consentiva di esprimere la mia arte professionale e chi fossi io come persona, foss’anche per mezzo di una lite con un compagno o di un abbraccio con un avversario”. È un’ammissione schietta, quasi irriverente, su come l’amore e la famiglia tameggino l’istinto selvaggio di un atleta.
Sul tema spinoso della droga, Buffon ha condiviso un episodio che non edulcora la realtà. “Sono uscito di casa a 13 anni e ho fatto tre o quattro anni di collegio, che è un insegnamento di vita, con tanti altri ragazzi che vivono situazioni quotidiane complicate – ha asserito -. In questo ci sono anche dei rischi, con persone che in maniera peccaminosa possono traviarti e portarti su strade sbagliate. Quando però hai scale valoriali, puoi decidere se fare o meno delle scelte. A 16 anni ero a una festa dell’istituto di ragioneria di Parma e c’era un ragazzo divertente, che aveva, secondo me, il difetto di esagerare con le droghe. Quella sera bevemmo qualche bicchiere in più e lui mi mise in bocca una cosa.
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Parlando della sua decisione di ritirarsi, l’ex portiere ha toccato note umoristiche e autoironiche. “Quando sotto la doccia vedevo accanto a me il fisico dei giocatori 20enni, provavo disagio. Mi dicevo: ‘Copriti, non puoi farti vedere così’”. È un momento di genuina vulnerabilità, dove Buffon ride di se stesso, evidenziando quanto il tempo possa essere spietato persino per i giganti del calcio.
Sul fronte dei colleghi, Buffon ha espresso un rispetto misto a una sana dose di realismo. “Luca e Gigi sono stati – al di là del loro incarico – due delle cinque persone nel calcio che quando parlavano o quando avevo modo di interagire con loro, mi facevano sentire fortunato. Mi hanno lasciato qualcosa dopo ogni dialogo. Il fatto di aver preso il loro posto è una sorta di soddisfazione e orgoglio personale. Non voglio instaurare alcuna rivalità o sfida con i miei predecessori, in quanto lo sport mi ha insegnato a riconoscere e accettare quando qualcuno è migliore di te. Questi due soggetti sono superiori a me; io spero di essere utile, sapendo di non essere loro”. Senza falsa modestia, ammette le gerarchie, un tocco di umiltà che contrasta con il suo solito carisma.
Infine, guardando alla Nazionale, Buffon ha analizzato le sfide attuali con un misto di ottimismo e critica tagliente. “La vera difficoltà è interagire con le nuove generazioni, diverse dalla nostra, e trovare la chiave per emozionarle e avere qualcosa in comune da condividere. In questo sono abbastanza bravo, nel mio 80 per cento di insensatezza riesco a essere stupido più di loro e questa mia stupidità genuina fa sì che si crei questo link naturale. Poi c’è un 20 per cento di estrema serietà: quando si deve migliorare, occorre intervenire e dirlo con fermezza e autorevolezza, perché si ottiene rispetto. A quel punto, hai libertà per assumere decisioni forti, ma non è facile: ci vuole un po’ di sensibilità. L’Italia? Al 90% andremo allo spareggio e queste ultime partite del girone dovranno prepararci per arrivarci in crescendo e mostrando le cose positive fatte vedere nelle ultime due gare. La spinta della gente e dei media in questo caso arriverebbe. Ecco, i media hanno bisogno di segnali da parte nostra, di credere in qualcosa di veramente forte. C’è bisogno di vedere attaccamento alla maglia”. L’evento si è concluso con una nota personale: durante la consegna, Buffon ha precisato che i suoi scudetti “sono tredici e non undici, perché ci sono anche quelli vinti sul campo con la Juve e poi revocati con Calciopoli. Comunque, alla fine, più dei numeri contano le frasi che li hanno accompagnati, quindi grazie di cuore”. In questo, Buffon conferma il suo stile: un campione che, anche nei ringraziamenti, non evita di stuzzicare il sistema.